FRANCESCO GALLO MAZZEO TESTO - DINA MONTESU

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FRANCESCO GALLO MAZZEO
Critico d'arte

Una scrittura tutta sui generis, fatta con una gestualità ritmica, tondeggiante, non già come forma geometrica ma come libera espressione di macchie fatte per coesistere e non per espandersi e occupare tutto lo spazio visibile, generando dei luoghi di attrazione, di affabulazione, in cui la vista - e il desiderio che da essi genera -, si accompagna con una scia di considerazioni, anche musicali, come se, appunto, tutto ciò si verificasse in una spazialità immaginata dall’artista come luogo di una articolata passione per il colore, per la trasparenza e per una sovraimpressione volta ad accrescere questo senso di pienezza e di morbidezza. Una dimensione che nasce dal vortice di una passionalità che è tutta lì, nella pittura, che non risponde a logiche di specularità col reale, ma con un narcisistico guardare con occhi rivolti all’interno. Si generano mondi paralleli che possono proliferare all’infinito, perché non c’è un inizio, in quanto la prima opera non è prima affatto e l’ultima non è l’ultima: ogni opera è là dove è caduta la mano, dove ha dettato il cuore, perché è poi, questo, l’imperativo dell’astrazione, quello di essere regola della non regola e quindi l’indicazione della sfrenatezza di un libero amore che nel momento in cui si fissa su qualcosa, cessa d’essere tale o ognuno deve essere nella condizione di poter dire e non dire, sospendere, sospendersi. Tutto appare in fieri, con un ampio margine di incertezza su ciò che sarà, ma questa incertezza in realtà è la sua forza intrinseca, perché non c’è assolutamente una direzione, ma il piacere di esserci.

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